Ti sei operato al cervello? Ma che sei matto? Tra pochi mesi io ed il mio amico Parky festeggeremo 7 anni di convivenza forzata.

Sono certo siate curiosi di sapere chi sia Parky, anche perché se non lo foste credo proprio che abbiate sbagliato indirizzo web. Diciamo che è come se un amico petulante ed invasivo si trasferisca, non invitato e assolutamente non gradito, a casa vostra; nei primi mesi la sua presenza è saltuaria, viene senza avvertirvi, ma come è venuto se ne va, senza più di tanto sconvolgere la vostra esistenza. E' fastidioso, ma sopportate perché sapete che durerà poco.

Col passare delle settimane questo "amico" si trattiene sempre più fino a che, un giorno, vi rendete conto che in casa vostra siete quasi diventati ospiti. Lo sfratto è impossibile, la disperazione aumenta fino a che non trovate un modo di convivere con questo "amico". Ecco chi è Parky!

Arriva per tutti, in queste convivenze forzate, un momento nel quale il vostro "ospite" comincia a prevalere, ad invadere i vostri spazi personali e lavorativi, a rendervi la vita impossibile. E' un momento nel quale, ben consci che non potrete mai cacciarlo, vi assale una forte angoscia, una disperazione che, sotto traccia, ma neanche tanto di nascosto, piccona le vostre difese mentali e fisiche demolendole. Fino a che qualcuno in un orecchio vi dice: "*ma perché non affronti di petto la situazione? Ci sono delle alternative valide ed efficaci al lasciarsi travolgere da una depressione galoppante*".

Così è stato per me. E, nel mio caso specifico, anche a prescindere dalla presenza di Parky, di motivi depressivi concomitanti e che si influenzano a vicenda, ce ne sono stai e ce ne sono numerosi. Per mia fortuna e per alcuni anni sono riuscito a gestire Parky senza far uso dell'artiglieria pesante (L-Dopa), l'unico farmaco effettivamente efficace nel contenere i sintomi di questa antipatico "amico". Lo fa, come sanno anche le pietre, al costo di una minor qualità della vita futura (discinesie) per cui nel lungo periodo si è costretti ad assumere farmaci che intervengano su questi effetti collaterali.

Nel 2018, però, schiantate le difese mentali che avevo eretto con tanta fatica nel corso del tempo (grazie al supporto continuo ed instancabile della mia splendida famiglia, di origine ed acquisita col matrimonio), Parky ha dilagato. Tra novembre e dicembre 2018 ho conosciuto la faccia più nera della malattia, quella che ti fa capire cosa voglia dire essere malati. Il momento peggiore è stato leggere la mia malattia riflessa negli occhi dei miei genitori. Una muta disperazione che avrei voluto non dovergli mai infliggere.

Proprio in quei mesi una serie di fortunate coincidenze ed incontri mi hanno per la prima volta messo in contatto con la DBS. E' l'acronimo della Deep Brain Stimulation (in italiano Stimolazione Cerebrale Profonda). Tale incontro ha avuto vari passaggi: - inizialmente, tramite parenti medici, avevo sentito parlare di una tecnica chirurgica non invasiva che, attraverso ultrasuoni focalizzati, consente una neuroablazione su alcune aree ben specifiche del cervello, molto efficace sul tremore (sintomo principale del mio Parkinson); approfondendo la questione, ed in particolare grazie ad un articolo di alcuni neurologi svizzeri, ho scartato questa potenziale soluzione: il mio è un Parkinson ad esordio giovanile (oggi ho 45 anni), la parola ablazione associata a cellule di alcune aree del cervello, per quanto ridotta al minimo indispensabile, mi ha dissuaso dall'approfondire la questione; sia chiaro che si tratta di scelta personale e che sono certo che quando viene applicata lo si faccia perché ritenuta la miglior soluzione per quei pazienti;

- ho poi conosciuto il prof. Fasano, un classico cervello in fuga (più giovane di me) che ha fatto una splendida carriera in Canada, ma che continua a praticare la professione anche in Italia; è stato da lui che ho sentito parlare per la prima volta di DBS; ma in quel momento, evidentemente, non ero ancora pronto e la questione è rimasta nell'ombra;

- nel corso dell'estate del 2018, ormai sempre più consapevole che stesse volgendo al suo naturale termine la pacchia di un Parky fastidioso, ma rispettoso, ho preso la decisione di rivolgermi alla Dott.ssa Bentivoglio ed al gruppo del Policlinico Gemelli specializzato nei disturbi del movimento da lei coordinato; già al primo incontro la dott.ssa Bentivoglio mi ha detto delle parole che mi hanno segnato dentro: "*vederla così mi fa piangere il cuore, potrebbe stare molto meglio già con la L-Dopa, ma ancor più con la DBS; da qualche mese il Gemelli è tornato a praticarla grazie ad un bravissimo neurochirurgo che applica la tecnologia più avanzata*".

Eravamo alla vigilia di quel periodo tremendo di cui ho accennato poco sopra e nel quale il mio caro Parky si sarebbe manifestato per quello che in effetti è: una subdola serpe. Da quel momento in poi, guardando con obiettività a mente fredda i successivi eventi, il percorso che mi ha portato all'intervento era già segnato.

Ho cominciato ad approfondire la questione (sono ingegnere e, come tutti gli ingegneri basta citare la parola tecnologia per scatenare la nostra curiosità). Ho letto di tutto (attenzione, su internet si trova di tutto, fatene un uso molto accorto), ho visto video su Youtube di interventi di DBS in USA (non capisco ancora come mi sia venuto in mente di vederli!), ho parlato con persone che si erano sottoposte in passato allo stesso intervento e che ne parlavano con entusiasmo (tutti dicendo: "*se potessi tornare indietro nel tempo lo farei prima*"), con la mia famiglia ho cercato una condivisione difficile (inizialmente la paura prevaleva in chi mi sta vicino, ma col tempo, senza forzare né in un verso né in quello opposto, siamo arrivati ad una decisione unanime), ma indispensabile.

In questo percorso non facile le informazioni che si raccolgono devono essere complete e dettagliate: nessuno può scegliere al posto nostro e, se non adeguatamente informati è facile farsi prendere dal panico dopo l'intervento.

Tenete conto che l'intervento stesso è una evento traumatico, per voi, ma non solo, da non prendere sottogamba. E non parlo dei rischi connessi allo stesso, dei quali avrete parlato fino allo sfinimento con chi vi accompagnerà in questo percorso e sui quali può incidere solo il chirurgo e la tecnica adottata, bensì sulla vostra preparazione mentale. Ad esempio vi diranno che sarete svegliati per poter verificare il corretto posizionamento degli elettrodi (che emozione vedere il braccio fermarsi improvvisamente!), ma sono certo che il fatto che vi abbiano anche specificato che inizialmente non verrete anestetizzati completamente (vi parleranno di assopimento, di sonno leggero) quasi non lo sentirete.

Più che altro si tratta di uno stordimento: non sentite più di tanto dolore, se non nelle fasi iniziali (qualche cosa di simile alle punture anestetiche del dentitsta, ma meno dolorose), ma ci sono stati momenti nei quali mi sono chiesto "*ma chi me lo sta facendo fare?*"

Parlando con i miei angeli custodi, chirurgi, neurologi, psicologi, a tutti ho chiesto: "*Ok ragazzi, i momenti in cui stavo sveglio li ricordo tutti, ma francamente non ricordo neanche un momento in cui mi sia effettivamente addormentato, avendo sentito tutto quel che veniva detto ed avendo percepito tutto ciò che veniva fatto*".

Panico? Paura? Dolore? assolutamente nulla di tutto ciò perché mi ero informato con domande poste a tanta gente (ovviamente non al giornalaio sotto casa, ma neurologi di varia estrazione e nazionalità, psicologi, psicoterapisti) su ogni passaggio dell'operazione e, prima ancora, sulle prospettive del dopo, che sono lo stimolo essenziale a passare le forche caudine di un'operazione di quel tipo.

Tanta gente mi ha parlato di coraggio: può anche essere che a guidarci in quei frangenti, a non farci cedere, possa essere un coraggio che non abbiamo mai manifestato e di cui noi stessi eravamo inconsapevoli, ma io parlerei più di disperazione, ultima speranza di una battaglia con una malattia che pensavamo persa in partenza e che, invece, possiamo affrontare per lungo tempo prevalendo noi: "*Parky attento, può anche essere che la battaglia sia impossibile da vincere, ma almeno potrei riuscire a strappare un pareggio*".

Attenzione, però, ad illudersi. Il percorso non è facile neanche dopo ed il risultato imprevedibile. O, per lo meno, mi sarei aspettato io stesso che sarebbe stato ben più facile di quanto non sia stato finora e nessuno mi può ancora garantire che l'intervento abbia effettivamente e concretamente avuto successo.

Eppure tutto ciò che sto provando era stato anticipato nei dettagli dal team di professionisti (tutti giovani e molto in gamba, a dimostrazione che non necessariamente occorra avere i capelli grigi per essere competenti) che mi hanno seguito in tutti i passaggi della procedura, prima, durante, ma ancor più dopo. Vi consiglio di ascoltare ogni singola parola, appuntatevela se la memoria è fallace, molto probabilmente si realizzerà.

Seguite i loro consigli e, ancor più importante, riferite tutte le vostre sensazioni così come i cambiamenti di umore, carattere e comportamenti che chi vi conosce meglio vede in voi.

Il giorno dopo l'attivazione dello stimolatore, il nuovo coinquilino mio e di Parky, ben più visibile e fisicamente tangibile, dissi ai neurologi che mi sentivo come non mi capitava da anni, sentivo in me tanta energia da potermi arrampicare a mani nude sulle pareti del Gemelli. Era così, ma non andava bene neanche quello. Come non va bene neanche un cambiamento improvviso ed imprevedibile del comportamento e reazioni agli eventi che non rientrano nel vostro carattere.

Entrambi sono sintomi diversi di eccesso di cura o stimolazione e vanno risolti entrambi dagli specialisti (che non siete voi, neanche foste ingegneri come me). L'importante non è arrivare primi alla meta, bensì arrivarci, anche ci volessero 6 mesi o un anno intero.

Purtroppo la DBS, seppur molto promettente, non è la soluzione definitiva, né la panacea di ogni Parcky. Difatti la malattia progredirà (speriamo il più lentamente possibile), ma la sua velocità non verrà influenzata dall'intervento. Allo stesso tempo, da quel che leggo, solo circa il 15% dei parkinsoniani, con caratteristiche ben specifiche, ha concrete speranze di beneficiarne (e, quindi, risulterebbe elegibile). Non sarò io a scrivere quali, non sono un medico e Dio mi scampi dall'illudere (o disilludere) altri malati.

Però è una strada percorribile, assolutamente **NON SPERIMENTALE**(sono quasi 40 anni che la si applica efficacemente su numerose patologie neurologiche) e non è necessario scappare all'estero per trovare persone competenti che la conoscono alla perfezione (sperando che la politica non ci costringa a farlo in futuro, ma quella è un'altra storia).

E' una terapia che non ci rende più intelligenti, ma neanche meno di quanto non fossimo prima. Non può fare miracoli, ma può aiutare a vivere meglio. Perché, come mi ha detto una persona a me molto cara che, con la sua tenacia e voglia di vivere, rappresenterà per me sempre un esempio, "*la vita è oggi, non domani; non ha senso aspettare anni per fare qualche cosa che già oggi potrà farti vivere meglio*".

E' fondamentale conoscere ed informarsi, e la nostra associazione è qui anche per questo. Raccontando le nostre esperienze ci auguriamo di poter essere di aiuto ad altri che stanno affrontando problemi simili, affinché non compiano errori evitabili o perché facciano scelte consapevoli e ponderate. Al giorno d'oggi siamo affogati dalle informazioni, sembrano tutte alla nostra portata. Ma la cattiva informazione è assai peggio che nessuna informazione.

Anche per questo nei prossimi mesi, una volta che riusciremo a strutturare come si deve questa associazione, troveremo il modo di aprire un canale di comunicazione con chi avrà la necessità di informarsi in modo approfondito a 360° sui temi della disabilità in generale e su quelli della mobilità dei disabili più nello specifico. ***Stay tuned.***


5 commenti

Giovanni · 12 Novembre 2020 alle 12:50

Molto bello, semplice e per questo chiaro. Una testimonianza forte che può aiutare chi ha bisogno, perchè equilibrata. Grazie

    IsabellaPsicoterapeuta · 12 Novembre 2020 alle 18:56

    Bisogna essere uniti, lucidi ed aggiornati!
    Sperando che l associazione possa portare queste ed altre testimonianze
    Dottoressa Isabella Imbimbo

Laura · 12 Novembre 2020 alle 17:02

Sono ormai diversamente giovane, ho moltissime gravi patologie ma non il tuo parky, almeno per il momento.
La tua testimonianza chiara e toccante mi emoziona e non mancherò di trasmetterla se chi conosco ne avrà bisogno .
Sento il dovere di dirti che la tua forza e il tuo credo mi aiuta ad andare avanti con grande speranza .grazie

Paolo Rinaldi · 12 Novembre 2020 alle 17:23

Queste sono le cose che ci danno speranza nella scienza e nell’uomo soprattutto ora che siamo disorientati da questo morbo infame.Grazie

Silvia Simongini · 13 Novembre 2020 alle 23:18

Orgogliosa di te. Mettere a disposizione degli altri il proprio vissuto senza mentire o minimizzare è fondamentale. Un enorme segno di civiltà. Mi piacerebbe poter dare una mano a questa associazione.

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