Buoni i dati preliminari su sicurezza ed efficacia dello studio clinico di Fase Ib condotto su undici pazienti. È ora in corso la pianificazione del trial di Fase II 

Descritta per la prima volta nel 1817 dal medico britannico James Parkinson nello studio “An Assay on the Shaking Palsy” (“Un saggio sulla paralisi tremante”), la malattia di Parkinson è la seconda patologia neurodegenerativa più diffusa dopo l’Alzheimer. Nonostante i due secoli dalla scoperta e l’elevata incidenza, l’eziologia del Parkinson resta ancora nebulosa e le terapie a disposizione mirano ad alleviarne i sintomi senza riuscire ad arrestarne il decorso. Partendo da queste basi, la comunità scientifica ha deciso, già da qualche anno, di puntare sulle terapia avanzate. A gennaio l’azienda Asklepios BioPharmaceutical (AskBio – filiale indipendente di Bayer), ha annunciato i dati preliminari dello studio clinico di Fase Ib condotto con la terapia genica AB-1005 su undici pazienti affetti da Parkinson.

LA PATOLOGIA

Sebbene la patogenesi della malattia di Parkinson non sia ancora del tutto chiara, è ormai accettata l’ipotesi di un’origine multifattoriale, in cui elementi ambientali e genetici concorrono a determinarne l’insorgenza. Come già anticipato, la malattia di Parkinson è la seconda patologia neurodegenerativa più diffusa dopo l’Alzheimer. con una prevalenza dell’1% circa nella popolazione ultrasessantenne (fonte: Orphanet). Si tratta di una sindrome extrapiramidale (patologia che interessa i gangli della base) caratterizzata da rigidità muscolare, che si manifesta con resistenza ai movimenti passivi, tremore durante lo stato di riposo e bradicinesia, con difficoltà a iniziare e terminare il moto. I sintomi derivano dalla morte prematura dei neuroni dopaminergici, con conseguente calo dei livelli di dopamina, il neurotrasmettitore deputato al controllo del movimento. Nonostante la malattia coinvolga principalmente le funzioni motorie, spesso vi si associano problematiche psicologiche e neurologiche – come depressione, decadimento cognitivo, disturbi dell’attenzione, della concentrazione e del sonno – e varie compromissioni del tratto genito-urinario e della motilità gastrointestinale. 

Per mitigare i sintomi si utilizzano generalmente agonisti o precursori della dopamina – come la levodopa o la carbidopa – o inibitori della sua ricaptazione – come gli inibitori delle monoaminoossidasi di tipo B (MAOB) – la cui efficacia, tuttavia, diminuisce con il progredire della malattia. Un altro trattamento che consente di gestire alcuni sintomi, specialmente le fluttuazioni motorie e le discinesie, è la stimolazione cerebrale profonda (deep brain stimulation – DBS), che consiste nell’inserimento di un elettro-catetere in grado di sollecitare aree precise del cervello (in genere il nucleo subtalamico o il globo pallido) con l’obiettivo di rimodulare i segnali che causano le disabilità motorie. Attualmente, purtroppo, non è disponibile alcun trattamento in grado di modificare, in maniera permanente, il decorso clinico del Parkinson.

Mirando alle cause e al loro meccanismo di azione, le terapie cellulari (ne avevamo parlato qui e qui) e geniche sono le uniche a spingersi oltre il semplice trattamento dei sintomi.

IL FATTORE NEUROTROFICO DERIVATO DALLA LINEA CELLULARE GLIALE (GDNF)

L’idea di poter ‘riparare il cervello’ con fattori di crescita è davvero molto allettante e, negli ultimi anni, molti studiosi hanno perseguito questo obiettivo con l’intenzione di trovare una cura per alcune delle più diffuse malattie neurodegenerative. Per la malattia di Parkinson, in particolare, è stato utilizzato il fattore neurotrofico derivato dalla linea cellulare gliale (GDNF). Questo fattore, scoperto nel 1993, ha dimostrato di avere importanti effetti sulla promozione della sopravvivenza e della differenziazione dei neuroni dopaminergici in coltura e sulla prevenzione dell’apoptosi (morte cellulare programmata) dei motoneuroni lesionati. Queste osservazioni, e i risultati promettenti derivati dagli studi preclinici su primati non umani, hanno portato alla decisione di avviare alcuni trial clinici su pazienti con Parkinson con l’obiettivo di valutare la sicurezza e l’efficacia dell’uso di infusioni o di ‘gene delivery’ di GDNF o del relativo fattore di crescita, la neurturina (NRTN).

LA TERAPIA GENICA AB-1005

La terapia genica AB-1005 (AAV2-GDNF) – di cui avevamo già parlato qui – prevede l’utilizzo di un adenovirus (AAV sierotipo 2) come vettore per il trasporto, direttamente nel putamen, del gene del fattore neurotrofico derivato dalle cellule gliali. L’obiettivo è quello di indurre la produzione di GDNF e, quindi, la rigenerazione dei neuroni dopaminergici, nelle aree del cervello colpite dalla malattia di Parkinson, con un’unica somministrazione neurochirurgica di AAV2-GDNF (“one shot”).

Lo studio clinico di Fase Ib, condotto negli Stati Uniti, ha valutato sicurezza, la tollerabilità e l’assenza di effetti avversi di AB-1005 in undici pazienti già in trattamento con levodopa. I partecipanti sono uomini e donne, tra i 35 e i 75 anni, che presentano diversi livelli di gravità della patologia (stadio lieve, 6 pazienti – stadio moderato, 5 pazienti) e reattività alla levodopa. A 18 mesi dalla somministrazione i risultati sono promettenti: gli endpoint primari di sicurezza sono stati pienamente raggiunti. La somministrazione neurochirurgica di AB-1005, guidata dalla risonanza magnetica, è stata ben tollerata da tutti i pazienti, con una copertura del 63% ± 2% dei neuroni del putamen, che ha superato le aspettative di una copertura del 50%. Nessun evento avverso grave è stato attribuito ad AB-1005 e il follow-up clinico continuerà fino al termine del quinto anno dalla somministrazione. Durante questi 18 mesi i pazienti hanno compilato questionari di autovalutazione per monitorare l’andamento dei sintomi motori (tramite la scala ‘Unified Parkinson’s Disease Rating Scale’ – MDS-UPDRS) e non motori (tramite la scala ‘Non-Motor Symptoms Scale for Parkinson’s Disease -NMSS) associati alla malattia. Inoltre, le fluttuazioni nella gestione metabolica della dopamina e l’integrità dei neuroni dopaminergici sono stati costantemente monitorati mediante la tomoscintigrafia cerebrale con tracciante recettoriale iodio-ioflupano (Imaging SPECT DATSCAN). Bayer ha dichiarato di voler presentare gli esiti degli endpoint secondari di efficacia nel secondo trimestre del 2024.

È ora in corso la pianificazione dello studio clinico di Fase II, che dovrebbe essere avviato nella prima metà del 2024. “Le esigenze insoddisfatte delle persone affette dalla malattia di Parkinson sono ancora troppe. I pazienti, che convivono ogni giorno con questa grave e invalidante patologia, meritano delle risposte”, ha affermato il Christian Rommel, PhD, membro del comitato esecutivo della divisione farmaceutica e responsabile della sezione ‘Ricerca e Sviluppo’ dell’azienda farmaceutica Bayer. “Gli esiti incoraggianti di questo studio clinico di Fase Ib AB-1005 rappresentano un importante passo avanti verso il nostro unico obiettivo, semplice quanto ambizioso: fornire una terapia efficace”. 

Categorie: Parkinson

0 commenti

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cosa fare E.T.S. Centro Studi Disability and Transport System