Uno studio clinico pilota, condotto dalla Sapienza Università di Roma, dal Consiglio nazionale delle ricerche e dall’Università degli studi di Roma Tor Vergata, ha dimostrato per la prima volta un aumento della chemochina Prochineticina 2 (PK2) nel siero di malati di Parkinson, suggerendone un potenziale ruolo protettivo. Il lavoro, pubblicato su Movement Disorders individua la molecola sia come biomarcatore che come target farmacologico per lo sviluppo di terapie utili per la malattia di Parkinson
In un nuovo studio tutto italiano, pubblicato sulla rivista Movement Disorders, è stato dimostrato per la prima volta un significativo aumento della chemochina Prochineticina 2 (PK2) nel siero di pazienti affetti da malattia di Parkinson. I risultati dello studio pilota, condotto da ricercatori della Sapienza Università di Roma, del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dell’Università di Roma Tor Vergata su un campione di 31 pazienti con malattia di Parkinson, suggeriscono un possibile ruolo neuroprotettivo della molecola.

“PK2 appartiene a una classe di piccoli peptidi, le prochineticine, presenti in tutta la scala evolutiva, dagli invertebrati fino all’uomo – spiega Roberta Lattanzi del Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia Vittorio Ersparmer della Sapienza. “Circa venti anni fa, infatti, nei nostri laboratori, PK2 è stata isolata per la prima volta dalle secrezioni della pelle di un anfibio (la rana Bombina variegata) e ben presto è stata identificata nei mammiferi, uomo compreso. Quello che abbiamo osservato è che la molecola è implicata in numerose funzioni fisiologiche e patologiche: è un importante regolatore della neurogenesi, del ritmo circadiano, del comportamento ingestivo, dell’angiogenesi e della risposta immune. Inoltre, svolge un importante ruolo nella modulazione del dolore. Ed è proprio su quest’ultimo aspetto che negli ultimi anni si sono concentrati i nostri studi”.

Il team di ricercatori della Sapienza aveva già dimostrato, in diversi modelli animali di dolore infiammatorio e neuropatico, che lo sviluppo e la persistenza del dolore sono direttamente correlati all’aumento dell’espressione di PK2 sia a livello del sistema nervoso centrale e periferico che a livello dei granulociti neutrofili e macrofagi, importanti cellule del sistema immunitario. PK2 prodotta dalle cellule infiammatorie innesca l’ulteriore reclutamento di macrofagi e monociti e ne induce un fenotipo pro-infiammatorio.

Oggi i nuovi risultati ottenuti suggeriscono che PK2 possa rappresentare non soltanto un potenziale biomarcatore precoce della malattia di Parkinson, ma anche un target farmacologico per lo sviluppo di terapie potenzialmente utili nella patologia.

Lo step successivo sarà quello di confermare questi incoraggianti dati preliminari nell’ambito di uno studio più esteso, che comprenda un campione più ampio ed eterogeneo di pazienti.

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